Facciamo chiarezza sui tipi di raggi UV che costituiscono la luce solare:
- Raggi UV-A, (400 – 315 nm) costituiscono la stragrande maggioranza della radiazione ultravioletta che raggiunge la superficie terrestre. Sono in grado di penetrare in profondità nella pelle e si ritiene che siano responsabili fino all’80% dell’invecchiamento cutaneo, dalle rughe alle macchie dell’età.
- Raggi UV-B, (315 – 280 nm) che possono danneggiare il DNA delle cellule epiteliali, provocando danni che vanno dalle scottature solari ai tumori della pelle (recentemente gli scienziati hanno scoperto che anche i raggi UVA possono farlo).
- Raggi UV-C (280 – 100 nm) che vengono filtrati dall’ozono nell’atmosfera molto prima che raggiunga la nostra pelle. Ha una lunghezza d’onda più corta e più energetica, in grado di distruggere materiale genetico
Il Covid-19, come tutti i virus, risulta essere sensibile al calore e alla luce ultravioletta, ecco perché in estate si è registrato un calo dei casi nell’emisfero nord, a sfavore dell’emisfero sud, dove sta già iniziando l’inverno. Ma disinfettare le superfici con la luce solare risulta però problematico, in quanto il tempo necessario a disattivare il nuovo coronavirus dipende dalla quantità di raggi UV incidenti sulla superficie, i quali variano a seconda dell’ora del giorno, del tempo, della stagione, della latitudine terrestre in cui ci si trova, quindi non risulta essere un modo affidabile per uccidere il virus.
Contrariamente gli UV-C prodotti artificialmente, sin dalla loro scoperta nel 1878, sono diventati un metodo di sterilizzazione efficace in ospedali, aeroplani, uffici e fabbriche. Alcuni studi hanno dimostrato che sono efficaci contro altri coronavirus, come quello della Sars. La radiazione deforma la struttura del loro materiale genetico e impedisce alle particelle virali di fare copie di sé stesse. La quantità di radiazione necessaria all’abbattimento del virus, varia a seconda di fattori come la forma e il tipo di materiale che si vuole sanificare.
Il lontano UVC ha una lunghezza d’onda più corta rispetto al normale UVC e finora esperimenti con le cellule della pelle umana in laboratorio hanno dimostrato che non danneggia il loro DNA ma per poter essere certi di questi risultati saranno necessarie ulteriori ricerche.